Tripoli!

Il governo di disunità nazionale

Quasi come i migranti di quella regione sbarcano sulle nostre coste, il governo libico è sbarcato a Tripoli è c’è da dire che ha avuto persino una peggiore accoglienza di quella che i profughi ricevono da noi. Il nuovo leader, appena giunto nella capitale, Al Serraj ha rivolto un appello alle fazioni per unirsi contro l’Isis, il che suona strano: l’esecutivo di cui si trova alla guida dovrebbe già rappresentare quest’unione. Sembrerebbe piuttosto un terzo incomodo a cui non solo si oppongono gli islamisti di Tripoli, ma persino i laici di Tobruk con il famoso generale Haftar. Verrebbe da temere che i vecchi rivali si potrebbero più facilmente unire all’Isis contro Al Serraj piuttosto che l’inverso. Se la condizione per intervenire in Libia era dunque un governo di unità nazionale disposto ad aprire all’intervento armato dell’occidente, non ci sembra di vedere, nonostante gli estenuanti sforzi diplomatici, grandi passi avanti. Bisognerà intanto tenere in piedi questo governo che non dispone delle forze armate sufficienti per contrastare tanti rivali. In vero, non è nemmeno in grado di controllare il territorio, altrimenti, avrebbe evitato il ridicolo dell’ insediamento via mare. La lunga crisi libica resta irrisolta e in queste condizioni l’ intervento armato è divenuto ancora più complicato e pericoloso, anche perché il governo libico apparirebbe facilmente come un misero governo fantoccio. La stabilizzazione della Libia compromessa nella guerra a Gheddafi ci offre quest’ultimo capitolo di una crisi irrisolta. Il problema è che l’Italia dovrebbe essere, nello schema della comunità internazionale, il Paese in grado di assumere i comandi del processo di stabilizzazione politica militare della Regione. Il che significa dire, scusate il termine, cavoli nostri. Ovviamente potremo anche scegliere di muovere qualche aereo e far cadere qualche bomba sulle dune sabbiose, come sembrerebbe essere intenzionato a fare il nostro governo, per lo meno a sentire le prime dichiarazioni. Solo che occorre anche capire chi e quanti sarebbero disposti a combattere al suolo in questa selva di milizie armate. Nel caso poi le bombe dal cielo non risolvessero il conflitto - le tonnellate lanciate non lo risolsero in Vietnam, non ci capisce perché dovrebbero risolverlo trent’anni dopo in medio oriente. In Siria l’intervento russo ed iraniano a favore di Assad non è certo stato fatto solo da bombardamenti aerei, il presunto governo di unita nazionale sarebbe spazzato via. Allora non si direbbe, che la diplomazia internazionale ha raccolto il frutto del suo complimento fallimento, ma che l’Italia non è stata all’altezza del compito assegnatole. Il nostro governo, espostosi fino a questo punto, è consapevole dello scenario a cui sta andando incontro? Scusate se viene da pensare che Obama abbia mollato una patata bollente e Hollande è ben contento di aver chiuso la mano.

Roma, 31 marzo 2016